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Citazione

Spousal support

As my marriage is inspiring more and more posts recently, I grew hesitant about whether Orso was bothered by it. So I asked. Here is how it went.

“Don’t you mind me writing about our marriage in my blog?”

“No, I’m fine with it.

Anyway, it’s not like you’re successful or anything”

Even when I hate you. Street art in Bairro Alto, Lisbon

Street art in Bairro Alto, Lisbon

Siccome il mio matrimonio ha ispirato molti dei miei post ultimamente mi è venuto qualche scrupolo. Nel matrimonio siamo in due, e magari  a Orso dà fastidio. Quindi ho chiesto, ecco com’è andata:

“Non ti da fastidio che scriva del nostro matrimonio sul mio blog?”

“No, mi sta bene.

Tanto non è che hai successo, no?”

S. Valentine’s purple crumble

Come scrivo ogni volta che pubblico un post tematico: i post tematici attirano un sacco di traffico, fatevene una ragione.

Crumble viola di S. Valentino: pronto!

Essendo una persona che passerebbe la vita a mangiare torte come se fosse sempre un’occasione speciale, a fare e ricevere i regali tutti i giorni come fosse Natale, ed a guardarsi romanticamente negli occhi e tenersi per mano* con l’amato marito Orso ogni sera come sarebbe prescritto dalla ricorrenza di oggi, il concetto di occasione speciale in sè mi tocca così così.

Però domenica ho fatto una torta che è venuta fuori colorata ed ho deciso di usare gli stampi a forma di cuore che mi hanno regalato M&A. Semplice, buonissima e bella, farà fare una gran figura con l’amato/a.

Ho scritto il titolo in inglese così mi vergogno meno di aver scritto un post di San Valentino.

Crumble violetto di San Valentino

Ingredienti per il crumble viola di S. Valentino

Ingredienti
120g burro
120g farina
140g zucchero
3 mele
200 g mirtilli
cannella
fiori di lavanda (se vuoi)

Preparazione del crumble viola di S. ValentinoAmmorbidire il burro a temperatura ambiente. Sbucciare le mele e tagliarle a cubetti. Saltare in padella i cubi di mela e i mirtilli con un poco di burro e due cucchiai di zucchero. Adesso succede una cosa buffa: le mele si colorano di un bel viola. Saltare la frutta per soli 5 min e aggiungere una piccola manciata di fiori di lavanda. Attenzione: mangiare la lavanda non piace a tutti, a molti sembra di mangiare sapone. In quel caso non metteteli, facile, no?

Preparazione del crumble viola di S. Valentino

Disporre le mele e mirtilli in una teglia, magari a forma di cuore. Mescolare con le mani il burro, lo zucchero rimasto, la farina e mezzo cucchiaino di cannella. Non scaldare troppo l’impasto con le mani: devono formarsi dei bricioloni. Se l’impasto fosse troppo molle, lasciarlo dieci minuti in frigo.

Preparazione del crumble viola di S. ValentinoRicoprire la frutta con il briciolame (delizioso, provate ad assaggiarlo). Infornare a 190° per 18 minuti.
Servire tiepido con della panna montata, magari nel pomeriggio con un tè. Che poi  un invito per il tè è molto più raffinato della solita cena.

Crumble viola di San Valentino

*per chi non riconosce la mia idea di romanticismo nel “guardarsi negli occhi e tenersi per mano”: la mia più assidua lettrice è mia mamma. Ci siamo capiti.

Il mio voto

Ho scritto questo post per un altro blog tematico e collettivo che sta muovendo i primi passi. Non abbiate fretta, quando sarà il momento ve ne dirò più.

“Apro la busta proveniente dall’ambasciata non appena entro in casa: è il plico elettorale per votare come italiana all’estero. Mi piace votare. Sarò ingenua, ma mi sento sempre un’eroina. Vado a votare sempre e capisco poco -giusto per non dire niente- chi non lo fa o non si informa per farlo. Non vedo l’ora di ottenere una seconda cittadinanza per esprimere il mio voto una volta di più. Saranno i paesi che ho visitato, dove non si vota o dove il voto non conta niente. Sarà che una volta in Cina mi hanno chiesto: ma come funziona da voi il voto? E mi sono sentita l’ambasciatrice della democrazia.

Sarà. Ma le schede elettorali sembrano fare di tutto per farmi passare la voglia.

Delle nove liste che si presentano per le elezioni alla Camera nella mia circoscrizione (Europa) la situazione è questa:

Hanno metà candidati donne: “Sinistra Ecologia e Libertà” (5 su 10); “Partito Comunista” (3 su 6)

Hanno da meno della metà a un quarto di candidate: “Rivoluzione civile” (4 su 10) PDL (3 SU 10); “Partito Democratico” (3 su 10);

Hanno un quinto o meno di candidate: “Fare per Fermare il Declino” (1 su 7); “MAIE Italiani all’estero” (2 su 10); “Movimento 5 stelle” (1 su 10)

Non hanno candidate: “Con Monti per l’Italia”

Per il Senato (perché sì, ho più di 25 anni!) non va meglio:

Solo candidate donne: “Partito Comunista” (2 su 2)

Metà candidate: “Movimento 5 stelle” (2 su 4)

Un terzo di candidate: “Con Monti per l’Italia” (1 su 3)

Un quarto di candidate: “Rivoluzione Civile” (1 su 4); “Partito Democratico” (1 su 4); PDL (1 su 4);

Non hanno candidate: “Fare per Fermare il declino”

Come faccio a pensare che questi partiti abbiano a cuore la parità di genere se non si prendono la responsabilità di praticarla? Mi sembra che non mi vogliano, che non ci vogliano. Mi resta la magra consolazione che noi italiani all’estero abbiamo diritto ad esprimere la preferenza per un candidato, quindi possiamo almeno in parte da elettrici provare a bilanciare la situazione. Di certo la soddisfazione di buttare la scheda nella spazzatura, di disertare l’urna in silenzio perché non so proprio chi votare, non la darò a nessuno.”

On turning 30

My cashew nuts birthday cake

I had 2 classroom parties where I brought homemade biscuits. I organised a Saturday afternoon birthday party where my friends had to dress up in fancy costumes. I got a ticket to the zoo and accessories for my bike.

They say 40 is the new 20. I don’t know about that, but the way I see it 30 is  definitely the new 10.

La giardiniera incostante

Piantina di timo e bambolina giapponese Io non so niente di giardinaggio. Ma proprio niente. Per questo vorrei che la mia vita gli assomigliasse un po’ di più. Al giardinaggio.
Dicevo, non so proprio niente niente eppure ogni volta che arrivo in una nuova casa prima o poi viene il momento: e se mi prendessi cura di qualche pianta? Quando arrivai in Inghilterra ho persino comprato dei bulbi pensando che un caotico giardino all’inglese facesse per me: i fiori non spuntarono mai. Prima tenevo le mie tre piantine sul davanzale davanti alla porta del mio appartamento parigino, perché all’interno non c’era abbastanza spazio. Un giorno scoprii davanti alla mia porta la vecchina del terzo piano prendersi cura delle mie piante di nascosto: “le ho viste così malmesse, pensavo che fossi partita da tempo”. Ero in casa. Da quel giorno le ho affidato le mie piante che fossi in aereo o solo sotto la doccia e quando ho lasciato Parigi gliele ho regalate, o almeno i loro amabili resti.

Insomma, per dire quanto io non ne sappia niente. Però mi piace sempre di più occuparmi di piante. Quello che mi piace è che lo faccio con una convizione che sembra che io sappia tutto, con una sicurezza che sembra dire: io so cosa sto facendo, anche se il mio unico attrezzo è un cucchiaio da minestra. Dieci, venti giorni dopo forse non spunterà niente, e la maggior parte delle volta non spunta niente. La maggior parte delle altre volte ciò che è gia spuntato muore.
Ma talvolta qualcosa spunta e talvolta l’origano dimenticato durante il nostro inverno africano ritorna in vita. Così nel giardinaggio qualunque cosa bella è un regalo, qualunque cosa brutta un incidente già dimenticato.
Siccome la vita io l’affronto proprio al contrario, mi chiedo se non debba darmi al giardinaggio. Ma solo così, senza mai imparare nulla.

Pasqualina va in Germania

Pasqua tedesca a Lipsia. Oggi ho fatto la mia prima caccia alle uova (in casa, vedi nota meteorologica sotto), ho dipinto le uova ed ho decorato il primo albero  -beh, una pianta d’appartamento- di uova. Decorare l’albero di uova non so se sia un’usanza tedesca o se i locali -cioè Orso- si siano fatti beffe della mia voglia di integrazione. Le uova che abbiamo usato per la caccia erano quelle di cioccolato portate dall’Italia, e le uova che abbiamo dipinto le abbiamo poi usate nella torta Pasqualina. Come dire, il meglio dei due mondi. Ma siccome in Germania ho anche ricevuto dei regali, la Pasqua tedesca vince.

Tre delle uova dipinte sono stata prima svuotate facendo due buchi alle estremità e soffiando fuori il contenuto: le abbiamo usate per l’omelette alla Orso a colazione. Tre le abbiamo bollite, dipinte e poi usate -sgusciate- nella torta. Abbiamo usato colori alimentari, eh!

Torta Pasqualina

Torta salata di Pasqua con spinaci e uova

Questa torta tradizionale si presta benissimo al picnic del lunedì di Pasqua. Che qui si traduce in picnic sul tappeto del soggiorno, visto che ieri ha nevicato (nota meteorologica).

Ingredienti

380 gr di spinaci surgelati, ché oggi tutti i fruttivendoli sono chiusi
un rotolo di pasta sfoglia pronta, perché nella vita bisogna saper chiedere aiuto
400 gr di ricotta, a trovarla vivendo in un mondo in cui i formaggi hanno una sola forma: quadrata
2-3 cucchiai di parmigiano grattugiato

un grosso spicchio d’aglio, o due piccoli
25 gr di burro
sale, pepe, noce moscata
tre uova sode
un uovo crudo

Gli spinaci sono le uniche verdure che entrano a casa mia surgelate e la pasta sfoglia è l’unica base che compro già fatta: mi sto giustificando un po’ troppo? Excusatio non petita… sono pigra, ma ho fatto le scuole grosse.
Scongelare gli spinaci, magari in anticipo (la regola vorrebbe: il congelamento più veloce possibile, lo scongelamento più lento possibile).
Soffriggere l’aglio tagliato a pezzi grossi nel burro e poi insaporire gli spinaci saltandoli nel burro per 8 minuti -se già ben scongelati, se no un po’ di più-.
“Quanto?”
Non lo so. Dipende dagli spinaci, dalla padella, dai fuochi, da te, non posso fare tutto io.
Ricordati di salare e pepare gli spinaci a tuo gusto e di eliminare l’aglio a cottura finita.

Mentre si fanno raffreddare gli spinaci stendere la pasta sfoglia nella teglia (quella da 22 cm di diametro è la mia preferita) imburrata o ricoperta di carta da forno. Di solito la carta da forno è inclusa nella confezione di pasta sfoglia. Ricavare dalla pasta anche dei bordi alti circa tre dita, o forse due, io ho le mani molto piccole. Tenere da parte la pasta rimasta per coprire e decorare la torta.

Mescolare la ricotta agli spinaci, aggiungere la noce moscata, ed altro sale e pepe se serve. Siate generosi. Aggiungere l’albume dell’uovo crudo all’impasto. Non è indispensabile, ma aiuta a legare il ripieno e più avanti nella ricetta avremo bisogno del tuorlo. L’idea di aggiungere l’albume mi è venuta perché non mi va di buttarlo ed oggi non ho voglia di fare meringhe: ho ancora una crostata al cioccolato e fave tonka da smaltire e stasera devo preparare il ragù per le lasagne che ho portato dall’Italia. Una pensa di avere un hobby, e senza accorgersene è già una schiavitù.

Aggiungere anche il parmigiano al ripieno. E’ la prima volta che aggiungo il parmigiano nella mia torta di Pasqua, e solo grazie ad Orso. I formaggi mi ripugna anche solo toccarli ma il ripieno viene più saporito col parmigiano (ed anche le lasagne). Così Orso, che pure odia anche lui i formaggi, lo ha grattugiato per me. Insomma, il romanticismo applicato alla vita quotidiana ovvero il matrimonio in tutta la sua utilità.

Dopo aver ben mescolato ed insaporito l’impasto versarlo sulla pasta sfoglia. Dopo averlo steso sulla pasta ricavare sei “buchi” nel ripieno ad uguale distanza gli uni dagli altri.

Sgusciare le uova sode (per un uovo sodo ci vogliono otto minuti di cottura dal bollore dell’acqua) e tagliarle a metà per il lungo (come si tagliano di solito, per capirci). Io le ho bollite prima di preparare la torta e poi le abbiamo dipinte: erano così belle che le ho sgusciate a malincuore. Ma fra gli occhi e la pancia, la pancia vince sempre. Posare ciascuna metà-uovo in ognuno dei buchi, e ricoprire col ripieno. Le uova devono nascondersi nel ripieno.

Coprire la torta con i ritagli di pasta rimasti e spennellare con il tuorlo d’uovo. Infornare a 190° per 35 minuti, poi abbassare la temperatura a 180° e continuare a cuocere per altri 7 minuti. Servire tiepida o fredda, quando la si taglia le uova nascoste provocheranno l’effetto “oohh!” dei commensali: il tedesco non gestisce bene lo stupore e la sorpresa, io vi ho avvertiti.

Il dolce di Natale dalla memoria lunghissima (Stollen – Weihnachtsstollen)

Il dolce di Natale quest’anno ha la memoria lunga, due settimane almeno. Per un dolce mi sembra una gran cosa.

Gli ingredienti per lo Stollen

Io ho la memoria lunghissima oppure inesistente. Non mi ricordo “più o meno” di esser stata in un posto. Mi ricordo tutti i dettagli, mi ricordo di come ero vestita e delle parole che hai usato, una per una. Come Funes di Borges, sono prigioniera di tutte le cose insignificanti che ricordo.
Oppure non ricordo niente. Ma proprio niente, come una rockstar degli Anni Settanta, senza la vita da rockstar però. E senza gli anni Settanta.

Così, ogni volta che mi arrabbio perché non mi hanno messa al corrente di qualcosa aggiungo: “a meno che tu me l’abbia detto e io l’abbia già dimenticato, in quel caso allora scusa”.

In pratica ho una memoria selettiva, ma capricciosa. Non mi ricordo le liti ad esempio, così ci passo sopra in fretta, ma neanche le riconciliazioni e le scuse, così serbo rancore infinito.
Mi ricordo bene ciò che ho detto e mi imbarazza anche oggi, anche se avevo 15 anni, e tutti abbiamo avuto 15 anni ad un certo punto.
Talvolta la memoria è un gioco da fare in autobus, tipo ricordare una poesia lunga che pareva dimenticata da anni o la voce registrata della metropolitana di Praga dieci anni fa.
Talvolta il gioco è tortura per chi mi sta di fronte, perché mi trasformo nel suo specchio: non negare, io mi ricordo.

La memoria si trasferisce sugli oggetti e quindi ad ognuno dei mille traslochi (no, circa sette, ma in sei anni, quindi sembrano mille) devo buttare via un sacco di cose. Ieri sera in un film la protagonista sfogliava un libro, tornata a casa voglio farlo anch’io ma non ce l’ho più: apparteneva alla storia di un amore passato e l’ho buttato. Troppi ricordi.

Così, quando servirò questo dolce ci saranno dentro almeno tre settimane, dalla domenica lunghissima in cui io e Orso lo abbiamo preparato, al giorno di Natale.

Weihnachtsstollen – Stollen di Natale- (tipico dolce sassone di Natale, alcuni dicono originario della città di Dresda)

Ingredienti per due grossi Stollen.
Due, perché due? Perché a Natale è sempre in tanti, perché anche se non siete in tanti lo Stollen si conserva per molte settimane, perché ci vuole un pomeriggio buono a farlo quindi tanto vale farne un po’. Perché io e Orso siamo in due e viviamo in un matrimonio talvolta molto competitivo: il mio Stollen è venuto più bello, ovviamente.

700 g Farina di grano tenero (quella bianca, 00)
300 g Farina di segale
400 g Burro ammorbidito a temperatura ambiente
100 g Burro chiarificato. Si tratta di burro a cui è stato lasciato solo il grasso: è consigliato per le alte temperature e la conservazione. Dovreste  trovarlo in vaschette o panetti al supermercato accanto al burro. Se no lo potete fare a mano. O usare il burro normale, ma questo limita la conservazione del dolce.
200 ml Latte
200 g Zucchero
120 g Lievito fresco (corrisponde a 3 cubi di lievito)
ca. 10 g Sale
3 cucchiaini spezie: Cannella, semi di cardamomo tritato, polvere di noce moscata, polvere di chiodi di garofano
Un baccello di vaniglia
La buccia grattuggiata di un limone
600 g uvette (noi abbiamo usato quelle di Corinto, perché? vedi: albicocche)
200 g Mandorle tagliate per il lungo (non a lamelle, a pezzetti)
150 g  Albicocche secche (le nostre venivano dalla Turchia: Orso si è dato allo shopping online di gastronomia)
4 cucchiai di Rum Cubano, che non è proprio-proprio il liquore tipico della Sassonia, ma è quello che paradossalmente più si sposa con la ricetta tradizionale

Per la copertura:
150 g Burro chiarificato
100g Burro
100 g Zucchero a velo
Pellicola trasparente per alimenti (non si mangia, ma te lo scrivo qui perché così non arrivi alla fine per poi accorgerti che ti manca).

La reazione del lievito!Marinare l’uvetta per due ore nel rum. Mettere le farine (1kg!) in una grossa ciotola, fare un buco al centro e mettere i tre panetti di lievito. Versare il latte riscaldato sul lievito, aggiungere un cucchiaio di zucchero ed ammirare la reazione per trenta secondi. Mescolare gentilmente il lievito con un po’ della farina che lo circonda, non tutta. Ammirare la reazione del lievito con la farina per altri 30 minuti. In questa mezz’ora si possono anche fare altre cose, ma il lievito che si muove è proprio divertente da guardare.

Impasto per lo StollenAggiungere tutti gli ingredienti tranne la frutta e mescolare bene. Aggiungere la frutta secca e mescolare ancora meglio: la cucina talvolta è meglio della palestra (la cucina è sempre meglio della palestra, altroché). Coprire con uno strofinaccio e lasciare lievitare per un’ora e un quarto.

I due StollenDividere l’impasto a metà con le mani e farne due grossi filoni da adagiare su una teglia da forno (imburrata solo se serve, io ed il mio forno professionista e professionale non ne abbiamo bisogno ad esempio). Questi sono gli Stollen, appunto. Lasciare riposare altri 45 minuti. Sono già quattro ore e mezza che siamo in ballo.

Riscaldare il forno a 155° gradi ed infornare i due Stollen per 55-60 minuti. Lo Stollen è pronto quando passa la prova dello stecchino: se infili uno stecchino al centro esce asciutto. La casa profuma dappertutto di Natale.

Stollen inzuccheratiSciogliere il burro (e il burro chiarificato) della copertura e forare gli Stollen un po’ dappertutto con un ferro da maglia. Spennellare gli Stollen con il burro fuso, facendo attenzione a farlo penetrare bene nei fori. Coprire con uno strato sottile e uniforme di zucchero a velo e fare raffreddare. Solo quando il dolce si è raffreddato ben bene, coprire uniformemente con una strato spesso ed uniforme di zucchero a velo. Avvolgere ciascuno Stollen in metri e metri di pellicola trasparente, sistemare in un luogo buio e secco (una dispensa) per circa due settimane, perché lo Stollen catturi bene tutti i sapori ed i ricordi di Natale. Quali sono i vostri? Si conserveranno come lo Stollen per tutto gennaio?

Stollen impacchettatoI tempi di attesa sono lunghi, ma mentre si aspetta di può decorare l’albero, fare le liste dei regali oppure impacchettarli. O guardare fuori dalla finestra e ricordare.

Domani andrà meglio

Ho scritto questo post un po’ di giorni fa. Perché coi momenti difficili si impara a prendere le misure, si sa che non si devono prendere decisioni importanti, come lasciare il lavoro o adottare un cane (anche se vorrei tantissimo un cane) o scrivere cose che poi, anche se le cancelli, restano da qualche parte  e rischiano di danneggiare lavoro-amici–famiglia-matrimonio.

Mi piace di più il termine disturbo dell’umore, utilizzo malattia mentale solo per scioccare il pubblico. Dire che ho un disturbo dell’umore (unipolare nel mio caso, io sono solo triste) sembra che voglia dire che in pratica sono solo antipatica. E non mi dispiace (e poi per quello non serviva il medico, lo diceva anche mia sorella gratis).

Talvolta penso che abbiamo qualcosa tutti, solo che io lo so ed altri ancora devono scoprirlo. O meglio che solo alcuni, alcuni ma sempre tantissimi, superano la soglia fra l’infelicità, la disperazione anche, e la malattia.

Ho passato tanto tempo ad investigarlo, e mi hanno detto che è comune fra i depressi voler sapere e voler comunicare. Dicono che sia perché è una malattia che non si vede e raccontarla è l’unico modo che abbiamo per essere presi sul serio, per tentare almeno. Questo è stato il mio modo di essere presa sul serio, come giornalista multimediale ma anche come portatrice (la maggior parte dei giorni sana e felice) di un disturbo dell’umore. 

In ogni caso, ho passato tempo a leggere, scrivere, investigare, indagare e devo dire che sono anche fiera del lavoro che ne è uscito. Però più che tutti gli articoli e le interviste oggi mi è venuta in mente una canzone francese, sempre quella, che dice che domani andrà meglio, senza crederci neanche un po’, ma ridendone parecchio. Perché qui, seduta sul divano di casa nel mezzo del pomeriggio, con le guance arrabbiate e le occhiaie da procione (leggi qui la storia del procione, il raccoon) , sarò anche depressa, ma sono soprattutto tanto ridicola. E allora tanto vale riderne.

“Triste compagne” è una canzone francese che mi piace dalla prima volta che l’ho sentita. I cantautori francesi hanno tanti difetti, primo fra tutti quello di essere cantautori francesi, però hanno anche un pregio grandissimo. Sanno raccontare delle storie, o meglio pensano che il loro lavoro principale sia raccontare una storia cantata, sì cantano storie, invece di I’ll miss you, we’ll be together, perdonami, I want to marry you, baciami che predominano in altre musiche pop.

In questa canzone Benabar, il sopraddetto cantautore francese, cerca un nome per il suo malessere ed elenca i motivi che ha per essere triste ogni giorno. Come la lacrima che scende in autunno per le foglie morte, “che poi, le conoscevo appena, non erano neanche mie parenti”. Cerca di dare un nome ed attraverso il nome una ragione, una giustificazione, per qualcosa che spesso, come mi disse un giorno una giovane e sincera psichiatra “non ne ha una, come tante cose brutte”.

Così lui invece di disperarsi ancor di più, decide di riderne e trasformarla in uno piccolo spettacolo di cabaret (ma qui se non hai visto il video di cui ho già messo il link sopra non si capisce come faccia) perché “soffrire dalla mattina alla sera, è una gran fatica!”

Il mio passaggio preferito resta il ritornello: “Domani andrà meglio, o almeno lo spero… perché è la stessa cosa che mi son detto ieri”.
Da cantare col sorriso sulle labbra (ed eventualmente un buon correttore).

Torta segreta alla Nutella

S. dice che se apri la dispensa dei bicchieri di una qualunque cucina italiana, senza distinzione sociale o  geografica, ci troverai almeno un bicchiere della Nutella, spesso disegnato. La Nutella in Italia trascende tutto. Ma pensa se un giorno aprissi un cassetto della scrivania e saltasse fuori un esercito di vasetti di Nutella…  A questo mi sa che neanche S. sarebbe preparata.  Questo è quello che è successo a me.

Quando ho lasciato Parigi, ho buttato via undici bicchieri della Nutella (tre li ho tenuti, c’erano sopra i Peanuts, il che li ha salvati anche dal recente trasloco Anglo-Sassone. Letteralmente: dall’Inghilterra alla Sassonia).
La Nutella costa pochissimo in Germania, un euro circa il barattolo da 400 grammi in alcuni supermercati. Nei negozi vicino a casa mia però, la Nutella non c’è: siamo bobos (bourgeois-bohemien), radical, liberal, o come vuoi da fare schifo qui, mica scherzi, in pratica puoi solo comprare patè di noccioline cresciute in libertà e che non hanno subito traumi alla raccolta: kill me now.

Eppure noi per una ragione misteriosa ci ritroviamo con cinque o sei vasetti di Nutella pieni da smaltire.  Orso la guarda con terrore: speriamo che non lo sappiano i vicini.  Io non la posso mangiare da sola tutta questa Nutella (No, tu non la puoi mangiare e basta, risponde Orso, unico uomo che possiede il segreto del mio peso). Così, decido di fare quello che tutte le persone di buon senso fanno quando si trovano di fronte ad un problema: ne ho fatto una torta.

In questa torta non ci sono né uova né burro, perchè la Nutella fornisce tutto il grasso necessario alla preparazione (il che in effetti dà da pensare)

Ingredienti
200 g di farina
50 g di Maizena
1 cucchiaio di cacao amaro (o una bustina di preparato per cioccolata in polvere, altro ingrediente altrimenti bandito dalla mia dispensa: è una vita difficile)
mezza bustina di lievito per dolci
80 g di zucchero
300 ml di latte
200 g di Nutella

Mescolare in una ciotola la farina, la fecola, il lievito, il cacao e lo zucchero. Se usi il cacao in polvere invece del preparato per cioccolata allora forse dovrai aggiungere dieci grammi di zucchero.

Scaldare la Nutella a bagnomaria. Questa è la parte più bella, guarderei il cioccolato sciogliersi per ore, come si fa con la lavatrice (forse devo riattaccare la TV. Ma ancora, che diranno i vicini?). La Nutella si trasformerà in una crema liquida, lucida e bellissima.
Unire il latte versato poco a poco (perchè così è più facile amalgamarli) e mescolare. Versare il latte nutellato sul composto di polveri, lentamente, perché si formano facilmente grumi.  Versare il composto in una teglia imburrata e infarinata e  infornate nel forno già caldo a 180° per 45 minuti. La torta è pronta per innumerevoli colazioni, ed il vicino alternativo non farà che domandarne ancora.

Naturalmente la mia è una supposizione, non l’ho offerta a nessun vicino.

An ordinary day

So, how was your day today? Well, it was not exactly today- it was two or three weeks ago- but nothing I write here is entirely true, remember?

Not too early in the morning I wake up in a sunny Leipzig. I wave good-bye to Orso with very humid eyes: we’ll see each other again in two weeks. And we are only ten days into the European commute that we like to call a marriage.
In Plagwitz I pass by bike by the most beautiful care-home I have ever seen: I wonder whether they accept residents under 30… because I’d definitely love to live in one of the apartments with the view on the canal. I get to work (yes, it is funny and -forgive me for the word- cool, but I’m still making  a job out of telling stories) crossing not one but two parks: I could definitely get used to it. But there is no time.
I get my lunch from a Syrian takeaway, hipster German style: a lot of vegetables and less fat. I’m still not used to it.

I smell the garlic sauce and the grilled chicken and I turn back two years in time: I am in Place Monge, Paris,  and feel that loneliness that does not feel like being alone.

I also think about how uncomfortable I am with the past and what it is all about. Orso says that I always behave as if I was on my guard when I talk in the past tense. I should dig the reasons why but basically: I don’t feel at ease because it’s about another woman, most of the time a girl, I don’t particularly like now.

On my way to the train station I miss the right tram and I have to get on two others trying to make up for my errors: a lot of stress while dragging a too big pink suitcase.

I learnt how to force myself to sleep on transports so the train journey from Leipzig to Berlin passes quickly. Everytime the train goes through  Lutherstadt Wittenberg I can’t help wondering whether Luther’s theses were 95 and everytime I reach home -wherever it is- I’ve already lost interest. Or maybe I don’t want to spoil the only passtime that does not make me sick on transports: having conversations with myself and digging my memory about useless information.

Off the train I jump on the bus to Berlin Tegel airport and hit all ankles I can find in the small corridor of the bus with my too big pink suitcase . I don’t do it on purpose and I am -even if I bit sleepy- pretty so I am forgiven rather easily. Yes, life is unfair.

I get to wait for my flight in the best lounge of the airport: and yes, it includes free food and tv. This is all thanks to Orso, who’s not a billionaire banker but he knows his way through airline promotions like no one.

My plane is the stereotype of a flight to London:  loads of skinny ties and Blackberries. Anyway, finally I have a copy of the Independent on my lap and I hope that the flight is calm enough so that I can read instead of spending my time recalling all the names of dog breeds I used to know when I was nine.

At Heathrow airport there is a bus waiting for me, and I can finally eat my Leipzig-made sandwiches and think about how many German regions I can remember: coach trips really make me sick. Two hours and a definitely different landscape later I am back to the very unlikely place  where exactly one year ago I decided to go to turn my life upside down (and therefore create another past version of myself I would feel uncomfortable with, I guess).

I walk home, I need some fresh air and the Southern coast of England is fresh on a late summer evening, even cold actually, but I put some extra layers on before the passport control at the airport: it’s not the first time I make this complicated trip. It is actually the last one, I think with relief and a point of regret.

Bike-tram-train-plane-coach and then… my own feet: it took so many different transports and now I am in bed with a fluffy raccoon (that’s really another whole story, that of the raccoon -a soft-toy, not a living animal).

In bed I read the French translation of a book on the life-changing trip to Italy of a famous German who lived in Leipzig as a young man: I drift into sleep thinking I am not doing anything new (well, except for the company of the fluffy raccoon).

I know, this post is very private, more private than you’d want it to be, more private than I -and certainly Orso- would like it to be. But my life had overtook my writing for a bit, so I thought that writing had to strike back and take whatever was there.

By the way, I forgot to ask, how was your day?