Sono passati quasi cinque anni dall’ultima volta che sono stata in Cina, sei dall’ultima volta a Pechino. Siamo tutte e due cambiate parecchio. In città c’è un’organizzazione che prima era difficile anche immaginare. L’effetto Olimpiadi? Abbiamo una settimana di tempo per investigare.
Che siamo siamo cambiate entrambe, lo noto ancora prima di arrivare. Sul mio aereo la nazionale giovanile di atletica e per i miei due compagni di viaggio sono una signora. Almeno finché la giovane cinese non mi vede guardare Alice nel Paese delle Meraviglie, e capisce che puo’ chiedermi di lasciarla guardare fuori dal finestrino. Apro una copia di Glamour France e me la faccio amica.
Arrivata, trattengo il respiro, per nulla: non sono più in quel luogo umido e rumoroso che ricordo, ma uno spazio luminoso e arieggiato. Poi eccomi pronta a proteggermi dall’attacco dei taxisti abusivi, ma i taxi sono molto più efficenti qui che a Charles de Gaulles e l’ultima volta che sono stata importunata dai tassisti abusivi è stato a… Linate.
Solo l’odore è rimasto lo stesso. Odore di cosa, non lo so, so che lo avevo dimenticato finché non l’ho sentito di nuovo, uscendo dallaeroporto. Odore dolciastro di polvere, di foglie, di cibo, di piante, umido e unico. Cattivo, non lo so. Buono, neanche, come l’odore di una persona che ami: il suo e basta. Con l’odore torna il vocabolario in cinese, arrugginito, ma sapevo di averlo in testa da qualche parte. Qualche frase sparsa e l’odore sono le prime cose che riconosco. Non certo i taxi. Una volta i tassisti viaggiavano con il posto guidatore imprigionato in una gabbia di ferro, e noi giovani studenti europei ci sentivamo pericolosi criminali, o scimmie impazzite (la seconda in fin dei conti puo’ essere fondata).
Quello che resta come in passato è che no, non posso scegliere di spegnere l’aria condizionata.
Grande sorpresa alzando gli occhi: il cielo è quasi azzurro. Quando la grande Muraglia censoria su Internet mi permetterà di caricare le foto vi faro’ vedere la differenza.
Quello che non è cambiato: il tempo, rovente e pesante come al solito. Fa cosi’ caldo e sono cosi’ ostile ai mezzi di trasporto non necessari che al secondo giorno sono già obbligata ad usare le infradito, commettendo -ne sono ben conscia- un enorme crimine contro la moda, ma permettendo ai miei piedi di gonfiarsi a loro guisa.
Quello che non è cambiato parte seconda: il tassista non sa la strada. I miei tassisti cinesi non sanno mai la strada, o forse è una scusa per fare conversazione o soldi. Questa volta però non ha torto; il fatto è che senza saperlo sono finita nel distretto alla moda al momento, gli hutong intorno nanluogu xiang, vicino alla torre della Grande Campana, che sono quasi pedonali. Pedonali. L’idea che esistano strade chiuse al traffico in questa città mi suona come se mi dicessero che in casa mia non c’è più zucchero: non c’è niente di male, solo non pensavo che sarebbe mai capitato.
Mi ricordo che sei anni fa scrivevo in una lettera da piazza TienAnMen ad un amico (il migliore, ed anche da questo si vede) che era la prima volta quell’anno che mi sentivo felice. Che Pechino e la Cina si danno l’ambizione e la possibilità di essere tutto. E che a Pechino ti sembra di poter essere tutto.
Poche ore ci sono bastate per capire che non siamo più le stesse. Dobbiamo imparare a conoscerci di nuovo. Ma ci piacciamo già.
Qui e per i prossimi post chiedo ai miei trenta lettori di fare uno sforzo: una cosa che ho imparato presto è che per conoscere e amare la Cina bisogna fare astrazione dal suo regime e governo. Non è difficile: i cinesi sono cosi’ amabili che quesi ci si dimentica di detestarli. Perché detestarli? Leggi l’ultimo rapporto di Amnesty Int sulla Cina, che ovviamente da qui non posso linkarti.
Nota en passant: Sei anni fa non c’erano neanche tre linee di metro, curioso per una città tanto grande e popolosa: adesso ce ne sono sei. Più di una linea di metro ogni due anni. Mi piacerebbe farlo sapere all’ATM, che dagli anni ottanta deve prolungare la linea verde di tre stazioni.