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Citazione

Spousal support

As my marriage is inspiring more and more posts recently, I grew hesitant about whether Orso was bothered by it. So I asked. Here is how it went.

“Don’t you mind me writing about our marriage in my blog?”

“No, I’m fine with it.

Anyway, it’s not like you’re successful or anything”

Even when I hate you. Street art in Bairro Alto, Lisbon

Street art in Bairro Alto, Lisbon

Siccome il mio matrimonio ha ispirato molti dei miei post ultimamente mi è venuto qualche scrupolo. Nel matrimonio siamo in due, e magari  a Orso dà fastidio. Quindi ho chiesto, ecco com’è andata:

“Non ti da fastidio che scriva del nostro matrimonio sul mio blog?”

“No, mi sta bene.

Tanto non è che hai successo, no?”

La giardiniera incostante

Piantina di timo e bambolina giapponese Io non so niente di giardinaggio. Ma proprio niente. Per questo vorrei che la mia vita gli assomigliasse un po’ di più. Al giardinaggio.
Dicevo, non so proprio niente niente eppure ogni volta che arrivo in una nuova casa prima o poi viene il momento: e se mi prendessi cura di qualche pianta? Quando arrivai in Inghilterra ho persino comprato dei bulbi pensando che un caotico giardino all’inglese facesse per me: i fiori non spuntarono mai. Prima tenevo le mie tre piantine sul davanzale davanti alla porta del mio appartamento parigino, perché all’interno non c’era abbastanza spazio. Un giorno scoprii davanti alla mia porta la vecchina del terzo piano prendersi cura delle mie piante di nascosto: “le ho viste così malmesse, pensavo che fossi partita da tempo”. Ero in casa. Da quel giorno le ho affidato le mie piante che fossi in aereo o solo sotto la doccia e quando ho lasciato Parigi gliele ho regalate, o almeno i loro amabili resti.

Insomma, per dire quanto io non ne sappia niente. Però mi piace sempre di più occuparmi di piante. Quello che mi piace è che lo faccio con una convizione che sembra che io sappia tutto, con una sicurezza che sembra dire: io so cosa sto facendo, anche se il mio unico attrezzo è un cucchiaio da minestra. Dieci, venti giorni dopo forse non spunterà niente, e la maggior parte delle volta non spunta niente. La maggior parte delle altre volte ciò che è gia spuntato muore.
Ma talvolta qualcosa spunta e talvolta l’origano dimenticato durante il nostro inverno africano ritorna in vita. Così nel giardinaggio qualunque cosa bella è un regalo, qualunque cosa brutta un incidente già dimenticato.
Siccome la vita io l’affronto proprio al contrario, mi chiedo se non debba darmi al giardinaggio. Ma solo così, senza mai imparare nulla.

Muffin all’errore

La storia è dentro la ricetta. O la ricetta è dentro la storia, dipende da che lato le guardi. In entrambe è nascosto, neanche tanto, l’errore.

Muffin all’errore: senza cranberries e con pezzi di cioccolato.

Muffin all'errore con cioccolato e senza cranberries

Ingredienti

100g  formaggio fresco (tipo philadelphia)
250g zucchero
170g cranberries (che verranno poi buttati via. Sì, hai letto bene)
200g farina
mezza bustina di lievito (quante volte te lo devo dire che una bustina serve per 500 g di farina?)
2 uova
75ml olio di semi
aroma di vaniglia
per sostituire i cranberries e riparare all’errore: 70g di cioccolato

Questi sono muffin ai cranberries. I fruttini dentro però non ci sono. Al posto ho messo la cioccolata. Succede che talvolta qualcosa non funziona e mentre si è in viaggio bisogna bruscamente cambiare strada, abbandonare i bagagli e magari pure proseguire a piedi. Succede che era pure la strada sbagliata e ci siamo allontanati. Io, dopo aver guardato con disperazione la strada vuota  so proseguire a piedi. Ma i bagagli, quelli che non volevo ma ho dovuto e scelto di lasciare per strada mi tormentano. Quelli che ho deciso di portare invece pesano inutilmente. Insomma, più cerco di riconciliarmi con gli errori più loro ritornano su, come la cipolla.

Cranberries freschiCominciamo. Sbattere il formaggio con 25g di zucchero. Mettere il composto in frigo per farlo diventare più duro. Cuocere i cranberries con 25g di zucchero fino a che scoppiettano, mescolare e lasciar raffreddare. Assaggiare e se vi fanno schifo come a me, buttare via. Se no, buttali via comunque, credimi, che col cioccolato la ricetta viene meglio.
Ma perché devo comprare e cuocere i cranberries se poi tanto non li uso? Ottima domanda (e molto ben posta, direbbe alla radio l’amico M.). Neanche io li avrei comprati e preparati se avessi saputo che alla fine sarebbero stati immangiabili: però non c’era modo di saperlo prima mannaggia.
Perché cercare il pretesto di attaccare bottone con qualcuno per poi trovarsi due anni ed una storia d’amore dopo a cambiare strada quando lo vedi passare? Perché hai studiato tanto per fare un lavoro che non ti piace?

Vedo che mi hai capita.

impasto dei muffin con cioccolato Mescolare lo zucchero che resta, la farina, il lievito e un pizzico di sale. Tritare grossolanamente il cioccolato. Aggiungere le uova, l’olio, la vaniglia ed infine il cioccolato al composto di farina. Mescolare bene fino a che il composto si fa lucido e delizioso. Assaggiare per sicurezza.

Riempire con l’impasto gli stampini da muffin per due terzi  (i miei sono di silicone, ma di carta infilati nella teglia da muffin vanno benissimo), dovrebbero venirne una decina, a me ne sono venuti nove: mi sa che mi sono mangiata troppo impasto. Fare col pollice un buco in mezzo ad ogni muffin e posare una cucchiaiata di formaggio zuccherato.
Infornare a 170° per 20-25 minuti.

Muffin all'errore pronti per essere infornatiMagari i cranberries che ho comprato non erano buoni o semplicemente il sapore della salsa di cranberries non mi piace. Per scoprirlo ho sprecato un po’ di zucchero e di tempo, ed ora ho una pentola incrostata che mi guarda. Però almeno adesso lo so. E poi il profumo che usciva dalla pentola era buonissimo.  Per un po’ è stato bello. Per il resto c’è sempre la cioccolata.

September, you won’t have me this time

Things I’d like to do in the next six weeks: refresh my Chinese, pick up some German, find a reporter/producer job in Europe, bake a perfect meringue, run, build a new website, do my own showreel, go to a vintage festival, move house, and take the most definitive decision of my life.

I guess it will require more organisation than Google Calendar can offer…

Well, I think I could go for a good meringue, but you know me: I’m a baking overachiever. What are your plans to be in the right place when everything starts again in September?

Take a leap! And a piece of cake

E’ di nuovo quel momento. Il momento in cui poter fare tutto. Il momento in cui hai preparato la valigia e bisogna partire. Io oggi, dopo aver consegnato l’ultimo pezzo della mia tesi, non riesco a combinare niente di sensato, a meno che non si consideri sensato mettersi al passo con le serie tv che sono andate in onda quando avevo di meglio da fare. Oggi è di nuovo quel momento tanto atteso in cui finalmente hai tutto il tempo per scrivere e da oggi in poi ogni giorno scriverai qualcosa, neanche fosse settembre in anticipo. Oggi è il momento in cui l’ispirazione se n’è andata e sembra per sempre.

Io ho deciso un anno fa: sono venuta in questa città comoda dove sembra sempre leggermente autunno anche col bel tempo per imparare a raccontare le storie, per commettere gli errori giusti. E ci sono riuscita: non saprei giudicare altrimenti il fatto di aver cominciato a lavorare prima di aver preso quest’ennesima laurea. Insomma, magari te lo aspetti da un ingegnere, ma meno da una giornalista in un paese straniero. Però, ricorda, non ho mai detto di non essere brava. Il lavoro di quest’anno mi ha  portata su un nuovo trampolino, anzi un trapezio da circo. Non ho avuto dubbi salendo. Adesso però ho paura. Ho paura dei traslochi che verranno, delle case da trovare in tre-quattro nuove città, dei lavori da cercare, dei cento no e due forse, dei complimenti senza un seguito, di non sapere come va finire.
Leggo sempre un po’ la fine dei libri, ma non in caso muoia prima come Billy Cristal in Harry ti presento Sally. Sfoglio qualche pagina alla fine del libro per avere un’idea che finisca. Non bene o male, semplicemente sapere che finirà in qualche modo mi rassicura.
Take a leap, dicono, the net will appear. Fai il salto e la rete apparirà sotto di te.

Questo è il momento in cui non si fa neanche la spesa, figurati una torta. La differenza oggi è che sapevo che sarebbe arrivato, quel momento. Così, ho cucinato in anticipo. E la rete non si vede oggi e probabilmente non si vedrà neanche domani. Però, in qualche modo, ad un certo punto appare.

Potrò presto migrare verso centoeunaricettaalrabarbaro.net di questo passo. Ma i desideri di compleanno non si discutono, soprattutto quelli di Orso.

Crostata di rabarbaro e fragole

Torta al rabarbaro e fragole con sfondo di regali di compleanno

Ingredienti
Pasta frolla:
250g farina più un po’.
2 tuorli
2 cucchiai zucchero a velo
2 cucchiai acqua
sale

Ripieno: 300g rabarbaro sbucciato
10 grandi fragole
1 uovo e 1 tuorlo
150g zucchero
200ml panna
zucchero vanigliato

Preparare la pasta frolla mescolando farina e zucchero a velo. Aggiungere il burro ammorbidito (non sciolto! Non fare come se fosse la prima volta che prepariamo una pasta frolla!). Versare l’acqua e i tuorli nel composto a fontana. Ma perché poi si dice a fontana? La montagna di farina e burro con il buco in mezzo assomiglia molto di più ad un vulcano!

Ingredienti per la torta rabarbaro e fragole di compleanno

Impastare con la punta delle dita (non col palmo perché il calore delle mani scioglie il burro). Formare una palla, avvolgerla nella pellicola trasparente e metterla in frigo. Lo so, la faccio facile io. Se la pasta fosse troppo molle e appiccicosa aggiungere farina o zucchero. Se fosse troppo dura e farinosa aggiungere acqua. Dovrebbe avere una consistenza tale da poterla lanciare al proprio aiuto cuoco. Che poi nel mio caso è sempre Orso. La palla di pasta deve restare in frigorifero per almeno un’ora, ma due sarebbero meglio.

Far marinare il rabarbaro a pezzetti e le fragole anche loro a pezzetti con 50g di zucchero. Mescolare la panna, l’uovo, il tuorlo, 100g di zucchero e lo zucchero vanigliato.

Stendere la pasta in una teglia imburrata apribile. Versare la frutta sul fondo e ricoprire con la crema. Infornare a 180° per 50 minuti. Lo so è tanto, però nel frattempo si possono impacchettare i regali o fare la ceretta, dipende dal compleanno.

Torta al rabarbaro e fragole pronta per essere mangiataProbabilmente ci saranno refusi: tutto questo è stato scritto ascoltando una radio francese che trasmette musica inglese. Oggi va così.

Al quel lettore, fra i miei venticinque, cui siano venute strane idee: io sono molto più giovane di Orso. 

La fuggitiva

Questo post è scritto in risposta ad  un post del Fatto Quotidiano  sui giovani italiani che lasciano il Paese. Il post di Dino Ameduni,  esperto di nuovi media (lo dico senza ironia: io sono “giornalista multimediale” fai un po’ tu) è stato commentato da moltissimi lettori, eppure dopo averne letti un po’, taluni sensati, altri feroci, taluni condivisibili, altri raccapriccianti, mi sono sentita un po’ sola. Mi sembra che solo l’autrice del blog A mezzogiorno  la pensi un po’ come me.

Lo so, arrivo in ritardo ma… sono sempre in viaggio!

Quando vivevo a Parigi non potevo sopportare gli italiani che non facevano altro che lamentarsi dell’Italia e come te mi dicevo che se avevano tanto da lamentarsi, avrebbero fatto meglio a restare e cercare di cambiare le cose perché altri non dovessero partire incattiviti come loro.

Il tuo discorso però mi sembra tanto riduttivo quanto mi sembrava il loro.

Particolarmente riduttivo (e anche un bel po’ nazionalista) definirci in base alla nazionalità, addirittura campanilista attaccarsi alla nostra città d’origine, per cui se sei di Bari, il tuo dovere è di restare a Bari, finché Bari non sarà un posto migliore.

Perché l’”italianità” dovrebbe pesare di più di tutto il resto? Perché si ha ancora il bisogno di definirsi tramite le nazionalità?

Sostenere che restare in Italia è mia responsabilità di giovane italiana significa negare o mettere in secondo piano ogni altro aspetto di me, di noi. Significa negare la nostra responsabilità di medici, ingegneri, giornalisti, ricercatori, di donne, genitori, europei, adulti.

Non vedo perché coloro che come te e me credono di poter cambiare le cose debbano farlo “da casa”, pena essere tacciati di egoismo.

Ad esempio io talvolta penso che sia una mia responsabilità di donna contrastare le ineguaglianze di genere. Magari miglioro l’Italia mostrando (e non sono la sola) che ci sono giovani donne italiane che non aspirano a farsi mantenere da un vecchio ricco amante.

Hai ragione, abbiamo il diritto di provare a cambiare in meglio (o talvolta a non contribuire a peggiorare) la società per tutti, ma non vedo perché sia meglio farlo da Agrate Brianza né perché il mio impegno debba concentrarsi sull’Italia, invece che su altri Paesi, su altri temi, su altri diritti, sull’Europa. Sono egoista per questo?

Chi parte è costretto dalle circostanze o egoista.
Potrei risponderti che dal mio punto di vista la maggioranza si lamenta, poi va ad abitare a due metri da mamma e papà che li sollevano dagli oneri del quotidiano e se la prende con chi se ne va.

Scrivo in transito fra l”Inghilterra e la Germania, domani e dopodomani lavorerò a Southampton, la settimana prossima invece a Milano. Quando mi chiedono dove abito rispondo: questo mese a Londra (Lipsia/Parigi o altrove). Mannaggia: sono una delle peggiori fuggitive, anche perché mi posso permettere di viaggiare comoda.

Eppure io non mi sento in fuga. Sono in partenza. Non sono scappata da niente, non sono neanche andata in cerca di un futuro migliore che credo avrei avuto anche restando in Italia.
Perché come te credo che sia possibile restare e costruirselo quel futuro. Ma semplicemente non è il mio.
Per te andare a Roma è un viaggio, vivere a Milano è emigrare. Per me andare a Lipsia, Londra, Parigi, Milano è tornare a casa.

I miei figli potranno avere tre passaporti e magari nasceranno in un Paese quarto: sarà un bel problema spiegare loro dove dovranno restare. In Europa,  potrei abbozzare, eppure non avrei nulla da dire se decidessero di migliorare il mondo partendo dal Venezuela.

La tua scelta è valida e anche la mia, non giochiamo a chi è più bravo: uniamo le forze.

Montréal and I

Montréal from the MountainLike a modern migrant I wanted to see Canada because I read, and I have been told, that is a nice place to live. A better place than here. Montreal, some say, is the most European city of the new continent. I don’t know: what does European mean?

I am an Italian living in UK with a French past and a (Franco-) German Orso, and still I could not say what is “European”. I know I am, but it’s a feeling more than anything else.

Underground art, literally

In Montreal people start a sentence in one language et la terminent dans une autre. This struck me, not because I was surprised, but because I thought it was a privilege reserved to multicultural families. To us.

To me, mixing languages means being always able to look for the exact word, to go as closest as you can to the meaning you want. Maybe it’s just me but I think we can understand each other better if we can speak more than one language. If you bring yours, and I’ll bring mine, like dishes at a dinner party.

Secondly, Montreal seems to believe its own stories. Like I do. The Mont-Royal, where the first French colons planted their cross (now a Tour Eiffel like cross which disappointed me a bit me and Lucy) it’s hill that dominates the city. But they never call it a hill. It’s la Montagne, the mountain, even if it takes half an hour to get on top.
Again, the power is in the name, in calling things what we want them to be, and by the power of the words, they are.

The cross on La Montagne

Let’s say it is a mountain. Let’s say we are explorers. Let’s say you’ll never leave. Let’s say I will make it.

Lucy Looking at Montréal

Of course, you need to see the majestic cathedral, visit the immense cemetery (my favourite travel plan is city highlights- food-cemetery-market-galleries-shopping), experience the underground city, do some restaurant hopping and admire the city covered in snow. But I can tell you about later on.

I walked, eat many sorts of food, talk and talk, smelled the snow, found a talented hairdresser: Montreal felt a little bit like home, a home I have never been before.

 

To D. A woman, my friend and inspiration

Nomina uno sbaglio e D l’ha fatto.

La mia amica D che ha vissuto cento vite, non se ne rende conto ed ha ancora entusiasmo per trovarne una nuova.

D dalla vita ha avuto tutto: un intelligente senso dell’umorismo, la capacità di suscitare simpatia negli altri. Alta, bionda e colta ha avuto uomini interessanti di ogni tipo.

D comincia una nuova vita presto, dopo essere stata infermiera, scrittrice, segretaria, amministratrice universitaria, assistente personale dell’uomo che fondò la Magnum, insegnante di inglese e guida turistica, terapista, dopo aver vissuto in California e in Canada, dopo aver realizzato il sogno di vivere a Parigi, dopo aver creduto di perdere tutto, anche la testa, ha una nuova casa, una nuova città, la vita numero centouno.
Le manca solo di scrivere un romanzo della sua vita, e mi chiedo se non potrei farlo io al posto suo.

Quando un giorno siamo andate al mercato a Batignolles D tremava, perché le vertigini le impedivano di stare in piedi dritta. D mi ha insegnato l’espressione “to sleep oneself’s way through -country-” che mi fa morire dal ridere. D ha corretto cento lettere di motivazione per lavori che in fondo non volevo fare. Un giorno mi ha detto che non c’era niente di male a curarsi un male qualunque che si trova in testa nel modo in cui si curano gli altri: con le medicine e la terapia.

D è legata irreversibilmente agli eventi più importanti della mia vita negli ultimi anni. Era un mercoledì sera, passavo da casa sua dopo la piscina con un panino col salmone, abbiamo parlato sul divano comodo del fotografo noventenne di cui sopra. Eravamo tristi entrambe a trentanni di distanza.
La mattina dopo, coi capelli ancora voluminosi ho incontrato Orso, irreversibilmente. Un mese dopo, io e D organizzavamo una cena a casa sua, D non sapeva perché avessi tanta fretta di andare via: Orso mi aspettava a Odeon a mezzanotte.

D attraversa di nuovo l’Oceano, verso la vita numero centouno. Per la centodue, magari, la sua vita sarà una storia.