Archivi del mese: aprile 2010

Mal de France and Chocolate-o-Cake

Due giovani donne al ristorante, nel centro di Parigi. Straniere, ma non dirò la nazionalità. Ormai ho l’occhio allenato che solo un cameriere di café seduttore mi batte. E poi ho le orecchie: non parlano francese.
Il ristorante è spagnolo e mentre aspetto le tapas che secondo la cameriera dovrebbero ampiamente sostituire la cena (si vede che io e lei abbiamo una definizione diversa di ampiamente, ma non mi attarderò su questa differenza di vedute. O forse sì, vi piacerebbe sapere come-cosa-si-mangia-dove?) le ascolto. La loro conversazione mi interessa e me la faccio prestare. Tutte e due dicono di soffrire di Mal de France.

Dicesi Mal de France (o mal di francia da non confondersi né col mal di pancia né col mal francese) un indolente atteggiamento alla vita che colpisce giovani uomini e donne, perlopiù colti, giunti in Francia per motivi intellettuali, sentimentali e meno frequentemente lavorativi.
Immerso in un quadro idilliaco dove le opportunità sono sempre in vista ma sempre un passo troppo lontane, il soggetto tende a vivere di parole piuttosto che di fatti ed arriva col tempo a svalutarsi pensando che “valevo di più prima, quando valevo di meno”.
Ne risulta che i soggetti sono portati col tempo a trascinare le loro giornate invece che a viverle. Parigi, la città sognata, diventa quasi una nemica.

Va bene, nessuna delle due donne parlava così, ma il nome “clinico” che hanno trovato per raccontarsi il loro malessere, così diffuso, così parigino, mi ha ispirata. Non che incolpassero la città, sia ben chiaro. Se Parigi sembra non mantenere le promesse, è perché siamo stati noi ad attribuirle aspettative troppo alte, non sue.

Vicino a casa mia c’è una bellissima biblioteca storica, la St. Geneviève. Nella biblioteca non solo è custodita tutta la letteratura francese ma buona parte di quella letteratura e di quella filosofia in quella biblioteca ci sono passate. Simone de Beauvoir la cita spesso, perché ci passava i pomeriggi da studentessa e da insegnante.
Io ci sono sempre voluta andare e lo scorso settembre mi sono iscritta.
Dallo scorso settembre, c’è una lunga coda per entrare. Siccome è a pochi metri da casa mia ed io vivo da sola -e se anche così non fosse nel quartiere ci sono comunque altre biblioteche- a parte che il giorno dell’iscrizione, io nella biblioteca non ci sono mai entrata.
Però ci passo davanti ogni giorno e mi dico: domani ci vado. Domani ci sarà meno coda ed io avrò più pazienza.
Per qualcuno può essere un uomo, un lavoro. Per me è la biblioteca St Genevieve, il più evidente sintomo di Mal de France.

Per guarire, ne ho già visti tanti, quasi tutti, partire. E anche così ci hanno messo un po’. E poi li vedo tornare e sospirare languidamente quanto era bello quando vivevamo, internazionali e spensierati, tutti insieme a Parigi.
Io ad ogni cena multilingue portavo sempre la stessa torta, così la diaspora ha contribuito alla sua notorietà. La famosa torta fondente al cioccolato, nota in almeno quattro dei cinque continenti (meglio conosciuta negli States come Chocolate-O-cake) si fa così:

Torta fondente al cioccolato:

Ingredienti

250 g di zucchero
200g di cioccolato fondente
200g di burro
5 uova
Un cucchiaio di farina

(Ah e se vi spiegassi in video come fare le torte? Mia sorella, ad esempio, ne avrebbe tanto bisogno)

Fondere (a bagnomaria è sempre meglio, ma il pigro potrà ricorrere al microonde a bassa potenza) il cioccolato con il burro ed amalgamarli. Aggiungere lo zucchero (tutto!) e poi, una ad una, le uova. Mescolare bene, il composto risulterà molto lucido oltreché delizioso.
Aggiungere la farina, un cucchiaio basta, tanto per la forma .Il pasticciere celiaco può evitare questo passaggio, la torta verrà un poco più bassa ma è buona lo stesso.
Versare in una teglia rotonda, non troppo grande (22cm) imburrata e infarinata. Infornare a 180° per circa 20-22 minuti. La parte centrale della torta deve restare fondente, solo i bordi devono seccarsi completamente. Per controllare la cottura consiglio di regolare il contaminuti (si chiama così?) con due minuti di anticipo e poi sorvegliare la torta.
Sfornare e mangiare. Condividere se indispensabile.

L’articolo è dedicato a Sabrina, che ha coniato la definizione. Sì, la prossima volta ti lascio scegliere il ristorante.